giovedì 22 luglio 2021

7 a 1

(pronuncia “seci a un”).

Insomma, ricordate la partita semifinale dei mondiali di calcio del 2014, gli occhi del mondo puntati su Belo Horizonte dove si disputa la semifinale Brasile-Germania, partita attesa, delirio dei tifosi, nervi a fior di pelle, grande sfida del nuovo secolo, anzi del nuovo millennio.

Dopo soli 11 minuti segna Müller, dopo 23 Klose, al 24esimo Kroos, al 26eisimo ancora Kroos, al 29esimo Khedira, al 69esimo Schürrle che ripete al 79esimo. Il Brasile è annichilito, non aveva mai subito una sconfitta così terribile in un mondiale.

All’ultimo scorcio di partita, al 90esimo, Oscar segna il primo e unico gol per il Brasile, alleviando, ma di poco, la vergogna della nazionale e della nazione.

7 a uno il risultato finale.

Il Brasile era arrivato ai mondiali con grandi speranze: aggiungere una medaglia alla propria serie di trionfi, ma soprattutto mostrare al mondo che la nazione era entrata in una nuova fase, in cui le sofferenze del passato erano ormai solo un ricordo.

La sconfitta di Belo Horizonte interruppe il sogno.

La partita si guadagnò il nome di Mineiraço (dal nome dello stadio Mineirão).

La lingua portoghese guadagnò un nuovo modo di dire: Sete a um, per indicare una sconfitta totale.

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101

Ah, saudade!

Nella nostra tombola carioca è il numero che corrisponde a “casa”, il numero del nostro piccolo, amato appartamento.

101 suona come una poesia, come la brezza che circola quando circola, come i palazzi che ci stanno davanti come tanti occhi puntati sulla nostra piccola vita, come gli alberi frondosi con i colibrì, come la piccola scuola simpatica con tutti i bambini vocianti schiamazzanti e il megafono che chiama i genitori all’ora dell’uscita, come le feste nel play del palazzo davanti che sembravano sempre impegnati in matrimoni-nascite-diplomi-lauree, come il giorno che siamo entrati ed era quasi tutto vuoto, come i letti rasoterra su cui abbiamo dormito per mesi, e l’unico scaffale nero bruttino che sembrava un oggetto di design in un libro di Orwell, come la finestra di servizio sul fianco del palazzo, come le ombre delle palme che di notte si disegnavano sotto la nostra finestra, come i pomeriggi di pioggia ascoltando Jorge Ben Jor, come la volta che si è allagato tutto, come l’armadio di Maria che era meglio non aprirlo, come la mattina che sono arrivati i parenti e Nora aveva preparato una tavolata che neanche a Natale, come quel piccolo angolo di Corcovado che si intravedeva tra i palazzi (ma lo sarà stato davvero?), come quel pomeriggio con guardie e ladri sul tetto di fronte, come le sere guardando Downton Abbey, come la resenha di Asia con tutti quegli adolescenti un po’ timidi un po’ sfrontati un po’ ubriachi, come quando sono arrivati i mobili dall’Italia che in un giorno abbiamo montato tutto, come il divano scomodissimo, come il glam internazionale di Grace, e come il grottino alias buco alias studio con il dépliant appeso a disegnare una finestra, come la poesia della famiglia, come le rime con Dardillac e Antoine, come Sofia che sbuca da non si sa dove, come Tómas vem me buscar, come il pullmino con Araújo e Arlete, come noi insieme.

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Scale

Scale???? Perché, ci sono le… scale????

Nei palazzi brasiliani si usa l’ascensore, e solo l’ascensore. Un po’ perché i palazzi sono alti e come si fa ad andare a piedi oltre il secondo/terzo piano, ma soprattutto, perché le scale non sono destinate all’uso. O almeno non all’uso delle persone perbene. È un po’ come in Downton Abbey: la servitù esiste, ma non si deve vedere. Le scale di Rio sono così: ci sono, ma non si devono vedere e soprattutto non si devono usare. E per renderlo chiaro, sono brutte, bruttissime, oscure, scomode, puzzolenti, costruite con i materiali più tristi e deprimenti in modo da scoraggiarne l’uso a chiunque. Le scale sono e devono restare un mondo parallelo, invisibile, ignoto. Chi osa entrarci lo fa a suo rischio e pericolo.

La società brasiliana è così: la parte dei signori - una profusione di specchi, marmi, ori, opere d’arte, decorazioni, profumi - e la parte “altra”, la parte senza nome, che non è bruttina (qualcuno ricorda il termine feinha con cui il sindaco Crivella aveva chiamato la favela della Rocinha?) solo perché trascurata, ma DEVE essere proprio brutta brutta per ricordare a chi ci abita che il mondo è naturalmente strutturato in gerarchie, e che se ti è toccata la vita dei poveri, allora ricordati che i poveri vivono male male male, e che è giusto così.

Testardamente democratico, tenacemente ecologista, opacamente salutista, ho sempre ostinatamente usato le scale per raggiungere il mio appartamento che era solo ufficialmente al primo piano (dopo il piano garage e il piano play, quindi effettivamente al terzo). E in tre anni credo di aver incontrato non più di due persone: una era il ragazzo delle pulizie che ci stava facendo una siesta, e l’altra doveva essere una specie di pazzo (o forse solo il mio riflesso in uno specchio!).

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domenica 11 luglio 2021

Angu do Gomes

Una piccola storia di successo: nel 1955, il portoghese Manuel Gomes cominciò a vendere angu* (polenta) con un carretto. Ebbe immediato successo, e i carretti si moltiplicarono e si sparsero per la città.

Si racconta che il carretto che Gomes gestiva direttamente in Praça XV divenne il punto di ritrovo di Sergio Mendes* e Tom Jobim*, che amavano mangiare angu* e discutere di musica.

Negli anni 70, il figlio di Manuel aprì il ristorante in Largo de São Francisco da Prainha* nel quartiere della Piccola Africa*, e i carretti vennero poco alla volta abbandonati. Il ristorante divenne il luogo di riunione di militare di estrema destra legati alla dittatura*. 

Dopo anni di difficoltà finanziarie, il ristorante riprese vita, ed è tuttora aperto con un largo spazio all’aperto dove fermarsi a mangiare o a bere qualcosa prima di andare al samba della Pedra do Sal*, proprio accanto.

E non dimenticate di dare un’occhiata al carretto originale di Manuel Gomes, che fa ancora mostra di sé davanti all’entrata.

Per andarci, prendete il tram-VLT fino alla Parada dos Museus.


https://www.tripadvisor.com/Restaurant_Review-g303506-d5367084-Reviews-Angu_Do_Gomes-Rio_de_Janeiro_State_of_Rio_de_Janeiro.html

Amarelinho

A me Rio sembra proprio Napoli, con quella sapiente miscela di miseria e nobiltà.

Uno dei luoghi che me lo fa pensare di più è il caffè Amarelinho (che significa giallino) nella enorme piazza di Cinelândia, vicino al Theatro Municipal.

Si capisce che in un lontano passato debba essere stato ritrovo di intellettuali ed artisti. Oggi è un caffè-ristorante piuttosto sporco, con cibi di qualità mediocre, ma fosse per me ci andrei tutte le sere.

Anzi, andavo a teatro proprio per avere la scusa di andarci e prendere la mia combinazione preferita: pudim de leite* e Coca Cola. Il primo per dare energia senza essere pesante, la seconda per dare quel minimo di carica per non addormentarmi subito alla prima nota dell’orchestra.

Se resistete alle tovaglie di cellophane appiccicoso, al servizio non proprio di classe, ai bagni condivisi con i senzatetto che ci si intrufolano di continuo, se riuscite a non curarvi dei mendicanti della piazza, dell’atmosfera equivoca della strada che fa angolo, delle persone che dormono sulle panchine e negli angoli oscuri della piazza, andateci.

Sarete attorniati da giovani che bevono una birra prima di andare alla Lapa*, che è proprio dietro l’angolo.

Ma se riuscite a fare un piccolo sforzo, vi sembrerà di ritrovare la Rio dello splendore dei primi decenni del secolo scorso, con i gentiluomini in frac che accompagnavano signore in tenuta di gala a sorbire una bevanda ghiacciata prima di entrare nel teatro. 

https://cresosuerdieckdourado.com.br/restaurante-amarelinho/

Castelinho do Flamengo

Guardatelo, e ditemi se quel tettuccio appuntito non sembra un cappello da strega, e se l’idea complessiva che dà non è quella della torre di Mago Merlino nella Spada nella Roccia!

La sfilza di case che costeggia l’Aterro do Flamengo* propone alcune belle facciate in vari stili architettonici, ma la perla è senza dubbio questa piccola costruzione bizzarra, opera dell’architetto italiano Gino Coppedè che la progettò nel 1916 per Joaquim da Silva Cardoso.

Coppedè (1866-1927) fu uno dei principali architetti italiani del Liberty che personalizzò in uno stile eclettico e del tutto personale. Il suo nome è legato al quartiere Coppedè di Roma, che Dario Argento considerò un set ideale per i suoi film deliranti. E un po’ deliranti sono anche le forme di questo villino carioca, che sembrano sfuggire ad ogni definizione.

All’interno le forme sono più miti e luminose.

Oggi ospita il centro culturale Oduvaldo Vianna Filho, e può essere quindi visitato negli orari di apertura (verificare).

Per arrivarci, si può andare in metrò fino a Largo do Machado, prendere l’uscita A che conduce al centro della piazza. Andate verso destra, fino all’angolo della piazza opposto alla chiesa. Cercate la rua Dois de Dezembro nella quale c’è anche il Centro Culturale Oi Flamengo* che vale la pena visitare. 

https://www.facebook.com/RioCasasePrediosAntigos/posts/852307988249716/

Casa Villiot - la casa senza finestre

Il vostro tour della Rio in stile Liberty o Art Déco non sarebbe completo senza una visita a Casa Villiot, detta casa senza finestre.

Progettata intorno al 1920 dall’architetto Antônio Virzi (nato a Palermo nel 1882), si presenta con forme geometriche piuttosto aspre, come una casa di Gaudì in cui le linee curve siano diventate d’improvviso rette e spigolose.

L’interno è più armonioso, con un vasto salone di ispirazione moresca tradotto in forme Art Déco, e una fontana (ora spenta) a fare da sfondo.

Alcune parti del piano superiore hanno ancora il rivestimento in legno originale.

Oggi la Casa Villiot ospita la Biblioteca Municipal Carlos Drummond de Andrade* aperta al pubblico.

La casa è a Copacabana, all’altezza del posto* 6 (quindi l’ultima parte verso Ipanema, non verso il centro), in Rua Sá Ferreira n. 80.

La zona non è delle migliori, e proprio di fianco alla casa c’è uno degli accessi alla favela del Pavão-Pavãozinho. Vale la pena visitarla, ma andateci con cautela, cercando di capire se la situazione è tranquilla, se non ci sono operazioni di polizia in corso e così via.

Per arrivarci, si può andare in metrò fino a General Osorio e prendere l'uscita D - Sá Ferreira, che sbuca a poca distanza dalla Casa Villiot.

https://diariodorio.com/historia-da-casa-villiot-a-casa-sem-janelas/

7 a 1

(pronuncia “seci a un”). Insomma, ricordate la partita semifinale dei mondiali di calcio del 2014, gli occhi del mondo puntati su Belo Hor...